(scritti in via di definizione)
Nell’esistenza
Ho interesse in tutto ciò che riguarda il corpo.
Corpo inteso come una materia che aderisce a un’identità, ad un Sé.
Inscrivo il corpo in questa dimensione di esistenza, prima dell’elaborazione del linguaggio del movimento e della danza. Agire sul corpo, con il corpo, nel corpo, è venire a contatto con l’esserci, con quello che siamo unito a quello che facciamo.
Ed esserci è un fatto. Non è un soggetto. Esserci è di per sé un fatto espressivo, un’azione insita nella presenza.
Vivendo, facciamo delle esperienze che il corpo trasforma attraverso la propria individualità. Come una spugna, assorbe e ripropone. È un dispositivo vivo che permette di entrare in relazione con noi stessi, con gli altri, con il mondo, restituendo una visione unica e singolare delle cose, una ri-creazione di qualcosa che include qualcosa di Sé e qualcosa fuori da sé, qualcosa di cui ha fatto esperienza e qualcosa che gli appartiene profondamente.
A partire da quello che c’è
Il mio metodo parte dall’esperienza dello ‘stare’, dell’essere nelle cose a partire da quello che c’è, che sento, che vivo. Questa dimensione mi avvicina alla ricerca della verità, attraverso un’esperienza e non attraverso un’idea a priori.
Stando radicalmente in questa dimensione di relazione con le cose e con se stessi, si aprono infinite possibilità di vita e di trasformazione. Perché quello che c’è nel corpo è infinito. La materia-corpo è infinita e si inscrive non come soluzione, come punto di arrivo che muore su se stesso, ma come punto di passaggio.
Il movimento è il desiderio del corpo di rispondere a questo ascolto. Una reazione più che un’azione, una spinta nella direzione del dialogo in una realtà fatta di relazioni prima che di corpi, di corpi che si ri-inscrivono continuamente in questa dinamica senza ricadere su loro stessi.
La danza, un corpo che danza non esprime il mondo. Esprime quello che lui sa sul mondo. Esprime il sentire, la percezione che ha sul mondo.
Il come e cosa si trasforma in lui quando ci relazioniamo, il modo in cui si pone nei confronti di quello che accade è il cuore della ricerca. Un modus operandi che si sofferma solo successivamente sulla conoscenza della tecnica del corpo, del mestiere della danza e della coreografia.
La ricerca di una libertà, sia fisica che mentale, è il punto centrale e attraente di questo percorso. La determinazione a essere veri e sinceri, prima di tutto con se stessi, traslata nel movimento, è quello che mi interessa.
Perché la tecnica
La tecnica aiuta a rimanere nell’estremo presente, e a lasciar andare il pensiero.
C’è sempre una doppia forza nel gesto: una tenuta lucida e cosciente del corpo e contemporaneamente un lasciar andare quelle parti di noi stessi che ci bloccano: i nostri limiti, i nostri personalismi, tutto quello che blocca una possibilità di un passaggio energetico, un riconoscersi in ciò che si fa e si è. Mettersi in questo stato delle cose permette di provare a staccarsi dal codice nel quale continuamente tendiamo ad identificarci, per identificarci in noi stessi e basta. E il corpo ritrova se stesso, la sua identità. Nello stare. Ed è nello ‘stare’ che il corpo può superare anche se stesso e spingersi oltre Sé.
La tecnica serve per trovare un diverso rapporto con il Sé.
Usare se stessi, ma non rifugiarsi in se stessi. Non fidarsi troppo di se stessi, non sedersi, non chiudersi. Lavorare al limite tra stare nel linguaggio del corpo e no subirlo, ma usarlo per trovare le proprie regole.
Stare nella dinamicità, nella possibilità di trasformazione delle cose, del corpo, della situazione, e della loro relazione, anch’essa infinita.
Stare in un flusso di trasformazione delle cose e sentirne l’impossibilità di catturare tutto.
Rimanere in balia di questa tempesta, pienamente coscienti. Sentire questo vuoto e viverlo.
Sono una tossicodipendente dell’esistenza, della vita, della verità, della libertà, dell’umano.
Nella pratica
Il processo di ricerca parte dalla ‘spremitura del corpo’, dal coglierne l’intima essenza attraverso un ascolto attento, paziente e profondo - di noi, di noi nel mondo e di noi con gli altri. Un ascolto che equivale a sentire come il corpo e il mondo si sporcano l’uno dell’altro.
La ricerca sul movimento si focalizza su come unire peso, spazio e tempo in un rapporto coerente con la forma che il corpo assume, dove per forma intendo una struttura fisica dinamica che agisce in uno spazio.
'Una mente umana potrà immaginare in maniera distinta e simultanea tanti oggetti quante immagini possono formarsi simultaneamente nel suo corpo’, scrive Baruch Spinoza.
Ed è su questo principio che si basa la mia ricerca: diverso è l’immaginario e lo stato del danzatore, diversa sarà la forma del corpo.
Il danzatore apre, attraverso la forma del corpo, il suo mondo interno, il suo immaginario. Lo mostra e lo concede alla visione.
È attraverso questa forma aperta, che lo spettatore può partecipare a suo modo a quello che sta accadendo. È attraverso questo che il corpo permette una possibilità di lettura a uno sguardo esterno.
Cercare di mettere in forma un pensiero sul movimento significa quindi tentare di avvicinare mondi interni e intimi, sia di chi guarda e sia di chi agisce. Significa tentare di creare un dialogo diretto tra due intimità.
Questa condivisione d’esperienza è resa possibile a partire da una percezione tecnica del corpo performante, da un utilizzo del corpo, preciso, dettagliato, acuto.
Solo a partire da questo tipo di percezione e da un approccio anatomico è possibile rendere un viaggio intimo un’esperienza condivisibile, e non unicamente soggettiva o auto-referenziale.
Così, il corpo del danzatore, inevitabilmente unico nella sua espressività, nel suo personale e soggettivo approccio al movimento, può essere una porta d’accesso di un discorso che lo trascende.
TRAINING:
L’obbiettivo del training che sta alla base del processo creativo è quello di rendere il corpo più malleabile e sensibile, pronto a cambiare ritmo, dinamica, stato. Un corpo libero di scegliere, in ogni momento e in ogni luogo, che non si nasconde nel movimento, ma che si disarma, che si pone in una condizione di fragilità, che nel momento in cui è presente e attento a se stesso, si sorprende e si scopre lui stesso di quanto che è in grado di fare o percepire.
A partire da un ‘reset’ del corpo quotidiano (tramite il respiro, la concentrazione, la variazione delle tensioni interne, etc etc) ri-entriamo nel nostro corpo in uno stato fisico e percettivo non quotidiano, ma più profondo, intimo, aperto, che ci permette di cambiare lo spazio - interno ed esterno - e il tempo nel quale il nostro corpo sta e agisce. Questo processo passa attraverso un approccio tecnico, dai principi fondamentali del linguaggio della danza che riguardano il peso, lo spazio e il tempo, e che permettono sia di condividere il percorso di training che di rientrare successivamente nell’unicità del nostro movimento e della nostra persona.
Dove e quando
Questa ricerca non prevede un luogo d’azione privilegiato. Quello che il corpo ha digerito, ha modificato, ha trasformato, può riversarsi ovunque e in qualunque circostanza, basta porsi in una condizione aperta, osservatrice, attenta alle cose che accadono e alla nostra reazione ad esse.
Il luogo del teatro, come specchio del mondo, può aiutare questo accadimento in quanto è un luogo ancor più libero da limiti prestabiliti. Uno spazio dove la spugna che ha assorbito il mondo può condividere le proprie immagini interiori o interiorizzate in modo diretto e immediato.
Stefania Tansini










